Savoia, savoiardi e stambecchi
Per chi è nato a Torino, come il sottoscritto, i Savoia rappresentano un passato vicino ed importante. Li abbiamo studiati a scuola, li abbiamo visti rappresentati in molti monumenti della città - mentre a scuola ci andavamo – e abbiamo da sempre respirato l’atmosfera regia e solenne della quale avevano impregnato l’elegante Torino.
Il casato piemontese ha, in effetti, molte delle caratteristiche comuni a tutte le grandi dinastie europee.
Tanto per cominciare, la longevità: i Savoia ebbero la capacità di rimanere per novecento anni al comando di un piccolo stato, minacciato nel corso dei secoli dalle più grandi potenze europee; Francesi, Spagnoli e Austriaci provarono a più riprese ad assorbirlo, ma non ci riuscirono mai completamente, neppure nei momenti di più grande crisi e debolezza.
Grazie alle loro note capacità diplomatiche, i vari reggenti di casa Savoia furono in grado di mantenere la propria sovranità e garantire la loro presenza costante nella politica europea, per tutta la durata del millennio appena trascorso; una circostanza davvero eccezionale, sicuramente favorita dalla stabilità economica di cui il casato riuscì a godere esercitando un controllo prolungato dei passi di montagna, verso i quali transitavano i commerci tra il Nord e il Sud dell’Europa: attraverso il San Bernardo, in primis, e, poi, tramite lo spettacolare colle del Moncenisio, incorniciato tra un lago blu cobalto e bianchi picchi innevati, al quale pagheremo una dovuta visita mentre ci sposteremo dal Piemonte alla Val Vanoise.
Poi, quando negli ultimi secoli i venti politici iniziarono a soffiare verso l’unità nazionale e strutture più democratiche e progressiste, i Savoia ebbero l’intelligenza di mettersi alla guida del movimento unitario e strinsero un’alleanza politica con la borghesia per la creazione di un futuro condiviso.
Infine, la presenza di personaggi emblematici aiutarono il casato ad entrare nell’immaginario collettivo: ancora riecheggia nel presente, e nei nomi di moltissime ragazze nate nella fine dell’ottocento, la figura di una regina che fu considerata da molti una principessa del popolo, generosa, colta ed affascinante, dalla quale prese il nome la pizza italiana per eccellenza: signore e signori, ecco a voi Margherita!
Tutti questi fattori resero la dinastia dei Savoia una storia di successo e permisero a Torino di trasformarsi da un borgo medievale arretrato ad una città sfarzosa e architettonicamente affascinante; il nostro trekking urbano sarà testimonianza di questo, mentre ci lanceremo attraverso i viali alberati e le viuzze in ciottolato del centro, tra portici e bar storici in cui dame e signori vivevano le loro avventure risorgimentali e nei quali noi, invece, assaggeremo alcuni prodotti tipici dell’arte culinaria piemontese: i savoiardi, per esempio, prodotti per la prima volta, si dice, nel tardo Medioevo da un pasticcere della corte di Amedeo VI, il quale decise di servirli durante un pranzo organizzato in onore dei reali di Francia; il successo fu immediato e i famosi biscotti vennero ufficialmente adottati dalla Reale Casa di Savoia, diventando il dolce preferito dei giovani eredi della dinastia.
Oppure la cioccolata, la cui lunga storia d’amore con questa città iniziò nel 1560 quando, per festeggiare il trasferimento della capitale ducale da Chambéry a Torino, Emanuele Filiberto di Savoia servì simbolicamente alla città e ai suoi cittadini una fumante tazza di cioccolata. Per chi avesse un palato più salato, sarà invece possibile provare uno dei famosi tramezzini del caffè Mulassano, il primo bar in Italia, nel lontano 1926, ad aver esposto questo tipo di panino triangolare farcito, che presto prese piede e diventò apprezzato in tutta Italia.
Pensandoci bene (e più facilmente a pancia piena), quello che rende questo viaggio ancora più speciale è la doppia natura del casato dei Savoia, in bilico tra due nazioni vicine: i colli e i passi di montagna che le collegano narrano una storia di grandi scambi commerciali e culturali tra le due nazioni, quella italiana e quella francese, sempre cresciute nella condivisione di un habitat alpino in cui tradizione e modernità hanno lasciato il passo l’una all’altra, solitamente al ritmo delle stagioni: l’inverno dominato dal turismo sciistico, mentre l’estate con il ritorno all’agricultura di montagna, con i pascoli, le baite e i produttori di formaggio, riporta le valli ed i suoi abitanti ai ritmi di una vita più tradizionale.
Il Parco Nazionale della Vanoise, che oggi ricopre geograficamente una parte di quello che era il ducato di Savoia storicamente, è la più antica area naturale protetta di Francia e ospita una delle calotte glaciali più estese d’Europa.
Nelle nostre quattro giornate di trekking, avremo modo di contemplare e apprezzare un mosaico di ambienti differenti: a partire dalle estese e magnifiche foreste di conifere, nelle diverse tonalità di verde, le quali fanno da contrasto con il cielo e incorniciano i piccoli centri abitati prospicenti le valli; poi, più in su’, i prati alpini, tinteggiati dal rosa del rododendro, dal blu della genziana, dal bianco della stella alpina e puntellati dagli chalet di montagna in pietra, intorno ai quali ancora pascolano le vacche Tarine con il loro manto fulvo: originarie della valle della Tarentaise, queste vacche sono particolarmente adatte alla montagna, con una corporatura bassa e gli zoccoli duri e neri che ne fanno delle ottime camminatrici su terreni in pendenza. È il loro latte profumato, proveniente dai prati fioriti in quota, dona il gusto leggermente fruttato al Beaufort d’alpeggio, uno dei formaggi tipici della zona, oltre al Bleu de Termignon e il Serac.
E poi lì, ancora più in alto, l’occhio si perde tra le vette, sopra i tremila metri d’altezza, alle pendici delle quali vive l’animale simbolo del parco, maestoso e solenne: lo stambecco. Molto meno pauroso di suo cugino, il camoscio, questo animale si lascia facilmente approcciare dall’uomo nonostante un olfatto portentoso e gli avvistamenti sono comuni all’interno del parco. Basta cercarlo tra le rocce, soprattutto quelle assolate e impervie, dove lo stambecco ignora la vertigine e si muove con un agio sconcertante, nonostante i suoi cento e passa chili, prendendosi gioco dei pendii più scoscesi: uno spettacolo imperdibile!
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