Avventure in Val Grande!

Ricordo ancora il mio primo trekking nel Parco Nazionale della Val Grande come un giorno di intensa felicità.
Del parco ne avevo sentito parlare di tanto in tanto e qualche volta mi era caduto l’occhio su una mappa regionale, leggendo di sfuggita questo nome allo stesso tempo semplice ed evocativo: ma questa volta era diverso, perché mentre ero immerso nella lettura di un articolo sulle aree più selvagge d’Europa, le mie sinapsi avevano già iniziato a creare connessioni neuronali in forma di scarponi e zaino. L’articolista raccontava della sua esperienza in Val Grande riferendosi ad essa come ad “un piccolo Nepal”: la mia mente non aveva bisogno di altro e già richiamava alla memoria i miei trekking in Himalaya, durante i quali si era riaccesa la passione per le montagne e per quel senso di libertà, di scoperta e stupore propri di qualsiasi esperienza nella natura incontaminata.
D’accordo, pensai, era arrivato il momento di esplorarlo!
Il Parco Nazionale della Val Grande non è immenso come il nome sembrerebbe suggerire; la sua grandezza, infatti, non è nell’estensione delle sue coordinate, ma nell’ampio spettro di emozioni capace di suscitare in chi si addentra tra le sue foreste e valli, scoprendo una area wilderness unica in Italia: aspra, disabitata ed incontaminata, ricca di torrenti, gole taglienti e picchi di roccia scolpiti nel cielo.
Quella mattina, mente camminavo sul sentiero verso Cima Sasso, una delle montagne più alte all’interno del parco, sapevo già di aver scoperto un tesoro naturalistico dietro casa, a cui avrei potuto accedere in qualsiasi momento e che, negli anni, avrei portato a conoscere ad amici e compagni di avventura.
Camminare in Val Grande è un’esperienza intrigante, perché gli spazi si dilatano nel silenzio ed è frequente muoversi per giorni senza incontrare altri trekkers. E così è stato nelle traversate di più giorni o nelle camminate più impegnative, mentre la civiltà si allontanava piano piano ed il rumore dei pensieri nella mia testa si placava; eccetto uno, spesso presente, pronto a solleticare la mia immaginazione: “quanto sarebbe figo ritornarci con un gruppo Four Seasons”.
Guardo in basso i mei scarponi, calpestando rametti e sassolini lungo il percorso, il rumore mi ipnotizza per qualche secondo, mentre mi godo i raggi del sole che si fanno largo tra le foglie ancora umide e l’aria fresca di un martedì mattina di Agosto; le faggete sono fantastiche in estate, quando la temperatura è ammorbidita dalle folte chiome dei nostri amici vegetali. Assorto in questa magia poetica, mentre mi godo il momento in uno stato di totale rilassamento, un suono acuto e perentorio mi riporta alla dura realtà: “Ma dov’è Massimo?! Ce l’ho siamo perso!”. Poche parole, ma capaci di penetrare il cuore di ogni guida da parte a parte: “impossibile”, penso, “visto che siamo partiti da meno di dieci minuti!”. E, infatti, il nostro caro compagno Four Seasons ci raggiunge poco dopo, scherzando sull’accaduto e sui miei occhi ancora iniettati di preoccupazione.
Ci stiamo dirigendo verso uno dei più bei trekking del Parco Nazionale della Val Grande; lungo il versante sud-occidentale dell’area protetta, partendo dal piccolo paesino di Cicogna, percorriamo un sentiero con a destra una piccola chiesa di campagna: proprio lì, all’ombra dei primi castagni, Don Antonio Fiora, negli anni sessanta, si prendeva cura della piccola comunità di fedeli isolata tra le montagne della Val Grande. Uomo singolare e sorprendente, fece arrivare nel villaggio il primo telefono e l’elettricità; ma il suo più grande successo imprenditoriale fu quello di vendere in paese delle uova di gallina su una bancarella con la scritta “uova di Cicogna”. Si racconto che un giorno, alcune massaie svizzere, vedendo nascere sempre e solo comuni pulcini e ritenendosi ingannate, lo citarono in giudizio. Il buon parroco di montagna si difese in maniera brillante, dando una bella lezione di grammatica italiana alle sue contestatrici e precisando che la scritta “uova di Cicogna” (il paese in cui viveva) non doveva essere confusa con la dicitura “uova della Cicogna” (animale): vinse la causa a mani basse. Storia lodevole da raccontare e ricca di spunti commerciali, ma è tempo di proseguire sul nostro sentiero, iniziando ad inerpicarci per la lunga mulattiera fino ad arrivare al primo balcone naturale con una vista a centottanta gradi sul Lago Maggiore. Ci fermiamo brevemente per ricaricare le nostre borracce, mentre il sole inizia a scaldare gli zaini e le nostre guance già arrossate.
I tempi oggi sono più serrati del solito, abbiamo parecchia strada da percorre, ma dobbiamo assolutamente prenderci qualche minuto per sbirciare il masso coppellato a poche centinaia di metri da noi: un monolite di qualche tonnellata, prospicente la valle e in direzione della pianura, su cui i nostri antenati più lontani, uomini della pietra, esprimevano attraverso delle incisioni rupestri le loro intuizioni sul mondo; il gruppo mi si stringe intorno e ascolta la breve storia sul rapporto tra uomo e pietra ed il fatto che questo antico costituente della terra è stato alla base dei primi comportamenti intelligenti della nostre specie.
Non dovrei aggiungere altro, ma alla fine stoicamente cedo alla verità e confesso che i miei pensieri così articolati e profondi sull’argomento hanno un’unica spiegazione plausibile: sono sposato con un’archeologa, è tutto farina del suo sacco! (disclaimer: messaggio pubblicitario, il suo nome è Maria Antonietta Molle e i suoi viaggi in Inghilterra li potete trovare in un’altra sezione di questo sito internet). “Avanti miei prodi” e ora di proseguire verso la nostra destinazione finale, Cima Sasso, una delle creste più interessanti del parco, al confine meridionale della riserva del Pedum, area integrale della Val Grande in cui nessuno, se non gli addetti ai lavori, ha messo piede negli ultimi cinquant’anni.
Rientriamo nella faggeta per un’ora circa, fino ad arrivare ad un tratto del percorso che si sviluppa in un habitat alpino tra rocce alabastro, praterie ed un sentiero sempre meno segnalato; ci inerpichiamo in mezzo alle prime creste di roccia, verso la zona più selvaggia e aspra del parco.
Camminare in montagna richiede fatica e sforzo, un passo alla volta sfidando la natura e i messaggi a volte sconfortanti della propria mente: “è troppo faticoso, oggi non mi sento in forma, quando arriveremo a destinazione”. Camminare in montagna con un gruppo di persone è un’intensa forma di condivisione: di speranze e piaceri, debolezze e limiti, ma nel processo ci si abbandona alla forza del gruppo, pensando di farcela insieme, tra una risata, una chiacchera e il silenzio dei luoghi. La destinazione finale non è la vetta, ma l’esperienza condivisa e la precisa sensazione di fare qualcosa insieme e per i giusti motivi: per tornare a casa con nuove convinzioni ed esperienze.
Il gruppo si aiuta, si muove all’unisono, reagisce, si stimola, la guida osserva, partecipa ed incoraggia.
Sono le due di pomeriggio, abbiamo percorso ormai gran parte del nostro sentiero e stiamo camminando in un ambiente selvaggio ormai da qualche ora, senza presenza umana; alla nostra sinistra la catena alpina è ormai visibile, con al centro lo stupefacente Monte Rosa. Il paesaggio è da lasciare senza fiato: l’intero arco roccioso della Val Grande, con tutte le cime più alte, si trova di fronte a noi e traccia un semicerchio di quasi centottanta gradi incorniciando il cielo e le valli laterali. Alle nostre spalle il Lago Maggiore brilla insieme a tutti gli altri sei laghi di questa umida regione lacustre.
E’ arrivato il momento di fermarci per un’ultima sosta, riposarci e fare il punto della situazione: siamo nell’ultimo vallone di cresta prima della impervia salita finale; abbiamo già raggiunto il nostro traguardo, siamo arrivati nel cuore del parco e abbiamo ammirato, alla nostra destra, per un lungo tratto, la sua riserva integrale.
Gli animi sono allegri, i muscoli stanchi; mentre mi godo in pieno questi attimi di grande libertà, guardo gli occhi dei miei compagni di viaggio illuminarsi alla vista di questo spettacolo naturale e riconosco in loro le emozioni che hanno attraversato il sottoscritto la prima volta che è stato qui (e, per dirla tutta, le stesse emozioni che mi invadono ogni volta che decido di ritornarci).
Qualche nuvola minacciosa si avvicina alla vetta della montagna, poco distante da noi, mentre con voluttà qualcuno tira fuori i resti di un panino ancora nascosto nelle pieghe della zaino: cibo di emergenza per i momenti in cui la volontà non è sufficiente a muovere le gambe con prontezza. Si è fatto tardi ed è tempo di tornare indietro: l’ultima decisione spetta alla guida ed il gruppo è d’accordo; riprendiamo i nostri passi con quella spensieratezza acquisita dopo una giornata trascorsa in natura, mentre la discesa e la gravità ci guidano verso le macchine e una visione del futuro chiara, condivisa e unanime: birretta fresca con aperitivo sul Lago Maggiore!
Autore: Marco Lugliengo
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