Tè alla menta e couscous: il cibo marocchino come rito di condivisione e ospitalità

La cultura culinaria marocchina è un meraviglioso incontro di influssi arabi, andalusi e africani che donano ai viaggiatori non semplicemente una grande soddisfazione per il palato, ma una vera immersione in una serie di usanze e costumi legati al cibo.
Bastano pochi giorni in viaggio per il Marocco per accorgersi che bevande e pietanze scandiscono molti momenti della vita quotidiana, non solo per il semplice bisogno di rifocillarsi tre volte al giorno, ma come un costume sociale che unisce e amalgama le disuguaglianze, creando un confortevole spazio di condivisione. Perché sì, ovviamente in Marocco il cibo si condivide, sempre.
La cultura musulmana mette l’umma, la comunità, al primo posto, in ogni ambito della vita; come per molti altri popoli del mondo, condividere il cibo è quindi un gesto di grande ospitalità per i marocchini. Fatta questa premessa, vi do un consiglio: se volete davvero lasciare a bocca aperta i vostri ospiti e conquistare il cuore del popolo marocchino portate sempre con voi del cibo da offrire ai vostri compagni di viaggio. Vi spiego perché.
Il treno è il mezzo migliore per spostarsi, i trasferimenti sono comodi, efficienti ed economici: negli scompartimenti ad otto posti, dove i viaggiatori siedono gli uni di fronte a gli altri, come in un intimo salottino, capite subito che la mentalità comunitaria musulmana ha avuto il sopravvento. Anche il viaggio in treno diventa momento di condivisione, non sono otto individui che viaggiano da soli, ognuno a fissare lo schermo del proprio cellulare: si è invitati alla convivialità, ci si scambiano esperienze e consigli, a volte anche interculturali, come nel mio caso. Una giovane ragazza marocchina, futuro ingegnere delle risorse rinnovabili, nel suo perfetto francese, mi ha raccontato le sue speranze per il futuro, mi ha chiesto se potevo scriverle la ricetta della pizza (sua sorella adora cucinare!) e ha fatto da gentile interprete di tutte le domande che le altre signore nel vagone hanno voluto pormi.
Sembrava un po’ una riunione di famiglia, come quando torni a trovare i parenti e passi a salutare tutte le zie e, ovviamente, c’è sempre quella zia che vuole ingozzarti dei suoi ultimi manicaretti. Ecco che ad un certo punto, "la zia" di turno apre la sua borsa di Mary Poppins e tira fuori ogni ben di Dio: barattoli e scatolette di sottoli e sottaceti, peperoni e olive nere, dolcetti al miele e sesamo e così via. A quel punto anche le altre hanno fatto lo stesso, offrendo mandarini, fragole e frutta secca e perché no, anche un paio di merendine al cioccolato. Era chiaro: avevano iniziato un rituale sacro inarrestabile e io... e io niente, non ero preparata! Davanti a tanta generosità mi sono quasi sentita a disagio, ma non c'era tempo nemmeno per quello, ora l'imperativo era “mangiare” e cercare il modo più gentile per evitare di farmi rimpinzare come un tacchino al Thanksgiving.
Questo è solo uno dei tanti rituali a cui ho assistito e questo racconto di viaggio non basterà per citarli tutti, ma prendiamo per esempio la nostra amata pausa caffè. In Marocco è spesso sostituita dalla "pausa succo di arancia": si prende al bancone, al volo, proprio come il nostro espresso, un piccolo piacere prima di aprire il negozio.
Poi come non citare il tè alla menta: il simbolo in un bicchiere dell’accoglienza marocchina. Preparatevi a berne a litri, perché vi verrà offerto ogni volta che entrerete in un negozio, farete il check-in nel vostro riad, finirete un rilassante trattamento nell'Hammam e, badate bene, non potrete dire di no.
Anche il pane ha le sue usanze, tante quanti i tipi di impasti che sfornano, ognuno per un pasto o momento preciso della giornata; il meloui o msemen per esempio, una soffice focaccina quadrata, si mangia solo a colazione, imburrata con confettura di fragole o amlou (il loro artigianale burro di arachidi o mandorle) è una delizia per cominciare la giornata.
Ultimo, ma non per importanza, il piatto per eccellenza, sua maestà il couscous: questa pietanza simbolo del Maghreb, da tradizione viene preparata solo il venerdì, giorno sacro per l’Islam e, secondo la consuetudine, viene portato in tavola in un unico grande piatto in terracotta, dal quale i commensali si servono utilizzando il pane e aiutandosi con le mani: tre dita della mano destra, come prescrive il Corano. Questo è un rito molto importante legato al cibo, perché riassume molti punti fondamentali della cultura marocchina: la condivisione, l’ospitalità e la religione islamica.
Assistere a tutte queste piccole cerimonie regala una magia speciale al nostro viaggio, ci accompagna in una sfera più profonda, quasi spirituale del Marocco, un Paese tanto diverso dal nostro ma anche tanto vicino e, come spesso accade, è il buon cibo a farci incontrare, riunendoci tutti alla stessa tavola per assaggiare un tajine di pollo, una pastilla o una zuppa harira.
Spero che vi lascerete incantare quanto prima da questa sinfonia di sapori e profumi, vi è venuta un po’ voglia di scoprire il Marocco? Allora buon viaggio e, come direbbero i marocchini, inshallah!
Autrice: Maria Antonietta Molle
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